“Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli.”, ha fatto dire Oscar Wilde al suo Dorian Gray.
Ora, non voglio mettere in dubbio la grandezza di Wilde, ma questa sua affermazione non mi è mai piaciuta, ancora prima di lavorare in comunicazione. Anzi, ancora prima di finire il liceo.
Parlando di aziende, mi sono già chiesta se sia necessario per loro essere sui social. Ci ho scritto un articolo poco tempo fa e il mio pensiero rimane più o meno quello: non importa il se, ma il come.
Se devi comunicare da schifo, meglio il silenzio.
Continua ad essere presente nei canali tradizionali del tuo settore e fai più bella figura.
Oggi potremmo anche rigirarla un po’ questa frase:
“Non importa se quello che viene detto faccia bene o male, l’importante è che si dica qualcosa.”
Ed è così che nacquero i leoni da tastiera e le aziende iniziarono a rispondere pubblicamente con scortesia alle recensioni negative o ai commenti critici sui social.
Uno screzio vis a vis tra un’azienda e il suo cliente rimane spesso chiuso in una sala riunioni o ha comunque un numero limitato di spettatori. Nonostante questo, può far da volano ad un tam tam di chiacchiere negative sull’azienda, che potrebbe anche rovinarne la reputazione.
Figurati se questo avviene online, sotto gli occhi di tutti.
La buona educazione è sempre fondamentale, sia online che offline.
La marcia in più della maternità
Da mamma so bene che non è mai consigliato parlare con gli altri di un bambino, se questo è presente. Figuriamoci parlarne male (se mai si possa parlare male di un bambino!).
Parlare male di qualcun altro, davanti ad un bambino, è invece una buona cosa?
Anche in questo caso, direi proprio di no. Oltre a condizionarlo con la tua idea, impedendogli di crearsene una propria, rischi immani figuracce, di gravità inversamente proporzionali all’età del bambino (si spera).
Pensi che in ambito professionale funzioni diversamente? Pensi davvero che l’importante è che se ne parli, di te o della tua azienda?
Io sono convinta di no. E non serve tirare in ballo chissà quali teorie pedagogiche o analisi SWOT, è solo buonsenso.